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Genova – Dakar rally marathon 2017

Racconto di viaggio di questo raid di due settimane tra Tangeri e Dakar svolto con il supporto logistico del gruppo genovese 4WD Experience: un’esperienza a dir poco indimenticabile tra Marocco, Mauritania e Senegal per oltre 4’600 km di strade e piste di ogni tipo.

Su youposition potete rivedere su mappa tutte le tappe di questo viaggio!

 

gdk

 

22-23-24 aprile

Interminabile viaggio in traghetto di 50 ore da Genova a Tangeri con scalo a Barcellona, all’arrivo la sorpresa di dover aspettare alla fonda per oltre un’ora dato che la banchina era impegnata da un altra nave: le operazioni di sbarco e soprattutto quelle interminabili di dogana si portano via altre preziose ore di luce e ci ritroviamo a dover raggiungere Assilah con il buio.

Scopriremo poi in hotel che uno dei motociclisti del gruppo che ci seguiva di qualche chilometro, ha perso i documenti in autostrada e quindi sta cercando di risolvere la questione con la polizia locale, non senza difficoltà.

Ci danno da mangiare nonostante siano le 23 al di là di ogni ragionevole speranza, prendiamo sul camion l’abbigliamento tecnico per la mattina successiva

 

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la partenza a Genova

 

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un tramonto in navigazione

 

25 aprile

La giornata prevede un lungo trasferimento e poi la pista della foresta dei cedri, evitiamo l’autostrada preferendo la statale anche per ridurre il chilometraggio e ci prendiamo una pausa dopo Meknes per gustare le tipiche “brochettes” di carne cucinate a bordo strada. I panorami si fanno presto montuosi sulla N13 ed attacchiamo la pista della foresta dei cedri alle tre di pomeriggio: il percorso è bellissimo e suggestivo ma le medie di percorrenza sono ridotte per via di enormi pozze d’acqua e tratti fangosi che rallentano non poco l’andatura. Ci imbattiamo in villaggi di poche case davvero isolati e perfino in una esercitazione militare, il fondo della pista è simile a quelli che si possono trovare sul nostro Appennino, con tratti più rocciosi che si alternano ad altri più soffici che spesso sono interessati dal fango. Il panorama è sempre bellissimo, i cedri sono alberi alti e maestosi dal diametro talvolta enorme che aggiungono fascino e suggestione così come le scimmie che spesso ci attraversano la strada.

Ignorando l’esistenza di un taglio a metà percorso seguiamo tutta la traccia proposta ed arriviamo a Midelt col buio: l’hotel Alì non sembra un 4 stelle ma una doccia dopo tanti chilometri è davvero piacevole.

La cena, servita in una sorta di garage attrezzato a cucina, non è di quelle che restano nella memoria ma dopo tutto il giorno in moto la spazzoliamo con gusto.

 

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la pausa pranzo vicino a Meknès

 

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sulla N13 dopo El Hajeb

 

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inizio pista del bosco dei cedri

 

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Lungo il percorso

 

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Mauro e il suo KTM 690 kittato

 

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un villaggio lungo il percorso

 

26 aprile

Si parte a Midelt con un clima fresco ma la destinazione è Merzouga, tra le località più calde del Marocco. La N13 che seguiamo anche oggi per un bel tratto ci riserva belle curve e panorami mozzafiato. In tarda mattinata raggiungiamo Errachidia e da lì dopo qualche chilometro sulla N10 attacchiamo la pista proposta dall’itinerario, che corre nel letto di un fiume asciutto. La temperatura sale rapidamente e supera i 30°C ma almeno il vento presente tiene lontana la polvere che solleviamo. Poco prima di raggiungere la R702 affrontiamo un passaggio sabbioso che ci fa sudare, e notiamo che il vento non tende a diminuire.

Pranziamo a Erfoud senza fretta con una ottima omelette berbère, l’orario e la presenza del vento forte ci suggeriscono di tagliare parte dell’itinerario (scopriremo solo dopo che evitiamo in questo modo un guado di notevole altezza) ed io e Nicolò ci inoltriamo nuovamente in fuoristrada poco prima di Merzouga mentre Andrea decide saggiamente di andare direttamente in hotel a farsi un tuffo in piscina.

Dopo esserci avvicinati alla “grande duna” per una foto di rito riprendiamo la traccia che circumnaviga l’Erg Chebbi piacevolmente compatta e veloce. Ci riavviciniamo alla N13 nei pressi del Nomad Palace dove gli ultimi km di pista dal fondo sabbioso e molto smosso dal continuo passaggio di jeep che portano turisti (anche sul tetto!!) nelle dune ci fanno sudare non poco, oltretutto con il sole ormai vicino all’orizzonte che ci abbagliava in pieno. Le Heidenau montate sul KTM di Nicolò dal disegno più stradale hanno meno trazione rispetto alle Mitas E10 che ho sulla Africa Twin sulla sabbia smossa, che resta comunque un fondo molto impegnativo per le bicilindriche.

Raggiunta l’agognata piscina ci rinfreschiamo in attesa della cena, le nostre aspettative di un cielo stellato saranno deluse dalla foschia presente.

 

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sulla N13

 

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Andrea

 

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Nicolò

 

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Sulla N13, dopo Kerrandou, lungo le gole dello Ziz

 

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on the road

 

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intorno all’Erg Chebbi

 

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intorno all’Erg Chebbi

 

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intorno all’Erg Chebbi

 

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intorno all’Erg Chebbi

 

27 aprile

Prevista tappa da Merzouga a M’hamid: non ci sentiamo con le bicilindriche di affrontare la pista di Taouz e quindi percorriamo la bella N12 fino al bivio per Fezzou dove scopriamo che la pista è stata asfaltata per agevolare il passaggio dei militari che si recano al confine algerino. All’ultimo rifornimento smontiamo i cavi del gas sulla R80 di Francesco che rimane accelerata ed il problema sembra -almeno temporaneamente- risolto.

Da Fezzou prendiamo una facile pista per Oum Jerane, che però non è semplicissima da “navigare” per i continui bivi che si incontrano seguendo le tracce a terra: alla fine risultano una quarantina di km molto piacevoli e senza difficoltà. La F800GS di Andrea accusa qualche spegnimento improvviso, ma nonostante i timori iniziali riesce a proseguire: una pulizia del filtro aria la sera migliorerà la situazione.

Da Oum Jerane un’altra pista dai tratti più “enduristici” per via del fondo roccioso ci porta sull’asfalto della N12 con cui raggiungiamo Zagora ed il suo palmeto, poi della N9 per M’hamid nuovamente in compagnia di un forte vento che spesso alza la sabbia riducendo la visibilità.

In Hotel troviamo Sergio e Mauro che hanno affrontato la traccia “originale”, ci riferiscono che era parecchio dura mentre riparano i supporti carena e radiatore delle loro 690: su entrambe le moto hanno ceduto allo stesso modo. Presto loro delle robuste fascette da 9mm per tamponare, dureranno poi per tutto il resto del viaggio.

 

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verso Fezzou

 

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pranzo al bazar da Bouchtouy

 

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Andrea pulisce il filtro aria della sua GS…

 

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…mentre Nicolò riposa…

 

 

28 aprile

Da M’hamid il primo tratto di pista è a rischio sabbia e così preferiamo tornare a Tagounite e seguire la “strada” segnata anche sulle mappe che termina a Foum Zguid.

Anche qui l’attacco della pista non è semplicissimo per le numerose tracce di ruote che si diramano, il primo tratto tra le rocce ha un fondo pietroso, poi arriva della tòle ondulè a tratti sabbiosa, poi altre pietre. All’oasi dopo una foto di rito con il mitico Defender abbandonato proviamo a dirigerci verso l’erg Chegaga ma il fondo si fa presto troppo sabbioso per le nostre moto: ripieghiamo tornando all’oasi e continuando la “strada” verso Foum Zguid.

Dopo poco tempo perdiamo di vista Francesco: la pedalina del cambio del suo R80 non ha resistito alle vibrazioni della pista pietrosa e si è rotta in una maniera non facilmente riparabile. Stoicamente affronta il primo tratto tutto in seconda, per poi innestare la terza dal Lago Iriki in poi quando il fondo diventa un poco migliore: la media si abbassa drasticamente ma riusciamo -nonostante una breve tempesta di sabbia- a raggiungere Foum Zguid in meno di 3 ore dove mentre un meccanico ripara la moto ci gustiamo un buon pranzo e dell’ottima spremuta di arancia.

Guidando in piedi mi rendo conto che il cupolino (e annesso GPS) della Africa Twin oscilla maggiormente da un lato, al primo stop verifico quanto sospettavo: uno dei “cornini” che sorreggono plexiglass e navigatore si è spezzato o dissaldato alla base a causa delle forti vibrazioni su pietraie e tole ondulèe. D’ora in poi ove non indispensabile eviterò di montare il GPS per ridurre lo sforzo ed evitare che si finisca di rompere anche il secondo supporto.

Il tratto di N12 che ci separa da Tata, meta della tappa, non dovrebbe presentare difficoltà ma il vento anche oggi si fa molto insistente con pericolose raffiche che fanno sbandare non poco. A tratti la visibilità è anche ridotta dalla sabbia e si viaggia in una sorta di “nebbia gialla” davvero poco piacevole.

A cena apprendiamo che Vittorio ed il figlio Antonio, entrambi su BMW d’epoca perfettamente rimesse a nuovo, decidono di dare forfait e rientrare in Italia dal Marocco senza proseguire l’avventura. Da un lato ci dispiace ma d’altro canto pensiamo sia meglio per loro se non se la sentono, per evitare di ritrovarsi in poco piacevoli situazioni di difficoltà: realizziamo infatti di essere ad un “punto di non ritorno” in quanto a tempi e distanze.

 

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lungo la pista di Tagounite

 

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Francesco in posa

 

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presso l’Oasi sacra di El Gouera

 

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presso l’Oasi sacra di El Gouera

 

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ai piedi delle dune dell’Erg Chebbi

 

 

29 aprile

Il risveglio non è dei migliori per Nicolò che ha passato la notte tra vomito e diarrea, forse a causa di una scatoletta di tonno mangiata la mattina precedente (gli altri pasti li abbiamo fatti insieme ma ne io ne Andrea abbiamo avuto questi sintomi). Partenza ritardata alle 11 ed itinerario forzatamente “asfaltato” sulla N12 e poi N1 per raggiungere Tan-Tan plage. Ad un paio d’ore dalla meta ci concediamo una divagazione verso Fort Bou Jerif, roccaforte della legione straniera francese e ora sede di un famoso campeggio e ristorante. Ce la prendiamo fin troppo comoda e solo alla ripartenza scopriamo che il KTM di Nicolò ha la gomma anteriore a terra: oggi è proprio una giornata no.

Sostituiamo la camera d’aria e raggiungiamo Tan-Tan Plage anche stavolta dopo il tramonto, consolandoci con una buona frittura di pesce fresco.

Abbiamo raggiunto l’Oceano e d’ora in poi l’itinerario sarà principalmente lungo la costa, con temperature più miti di quelle incontrate negli scorsi giorni.

 

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on the road verso Guelmim

 

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on the road verso Guelmim

 

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pausa a Fort Bou Jerif

 

30 aprile

Ci aspetta la tappa più noiosa sulla carta: oltre 800 km di asfalto tra Tan-Tan Plage a Dakhla. Il piano sarebbe quello di effettuare una breve deviazione dalla N1 per seguire la strada costiera tra Tarfaya e Layounne ma mentre al bivio ci chiediamo se stiamo prendendo la strada corretta ci supera Sergio in moto e lo seguiamo. La strada teoricamente più diretta e breve si rivela poi più lenta a causa dei ben 5 posti di blocco che affrontiamo a Layounne, mentre il percorso costiero si ricongiunge alla statale solo alla fine della città dopo un tratto sicuramente più panoramico.

Gli spazi del West Sahara sono letteralmente sconfinati e del tutto desertici, a tratti dal colore tanto bianco che sembra di essere sulla Luna. La striscia di asfalto della N1 solca il territorio come un intruso, e si avverte che la sabbia vuole riprendersi anche quei pochi metri colonizzati dall’uomo. Scheletri di auto incidentate, abbandonate e poi razziate fino all’osso giacciono ai bordi della strada ed in qualche tratto si vede anche il mare, oltre agli innumerevoli ripetitori telefonici. La costa è fatta di una sorta di fragile falesia erosa dalle onde e in un paio di punti ci leviamo lo sfizio di avvicinarci al mare scoprendo che ci sono numerosi pescatori con lunghe canne che non smontano ne in motorino ne in auto.

Impressionante la quantità di bandiere che il governo del Marocco ha piazzato in questo territorio “conteso” per rimarcarne il proprio dominio, non vi annoiamo oltre se non indicandovi questo link a cui approfondire la storia post-coloniale del West Sahara.

A Boudjour troviamo delle belle bancarelle dove i locali cuociono e consumano pesce ma non riusciamo a farci capire, salvo vedere i gestori che scuotono la testa in un comprensibile “no”. La risposta che ci diamo osservando gli altri avventori è che occorra arrivare già “armati” del proprio pesce che sulle bancarelle può essere solo cucinato. Ci sentiamo osservati e cambiamo aria dopo aver mangiato delle barrette, non senza rimpianti dopo aver visto tanto ben di dio e non averlo potuto gustare.

 

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si riparte da Tan Tan Plage

 

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la costa poco dopo Ben Khlil

 

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le bancarelle di Boudjour

 

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le bancarelle di Boudjour

 

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il tramonto a Dakhla

 

1 maggio

Iniziamo la giornata attraversando dopo poche decine di km il Tropico del Cancro, con un poco di ansia poiché ben 3 stazioni di servizio consecutive ci dicono di non avere benzina ma soltanto gasolio. Una volta fatto rifornimento ripartiamo più tranquilli e ci fermiamo a pranzare all’hotel Barbas di Bir Gandouz, dal suggestivo sapore coloniale.

L’uscita dal Marocco non presenta intoppi, se non un’oretta di attesa sotto un sole a dir poco cocente del primissimo pomeriggio. Tutto fila liscio ed attraversiamo una inquietante striscia di “terra di nessuno” prima di arrivare alla frontiera Mauritana. Qui un personaggio che solo successivamente scopriremo non essere un gendarme ma uno dei tanti “faccendieri” che cercano di spillare soldi ai turisti si prende tutti i passaporti del gruppo e così tra visto e sedicenti costi doganali non meglio giustificati questo passaggio ci costa decine di euro e soprattutto almeno due ore di trafila. Guardiamo con invidia un motociclista solitario in sella ad un KTM con targa spagnola che in poche decine di minuti sbriga tutta la faccenda e riparte: lo reincontreremo in seguito sia a Nouadhibou che a Dakar.

La cosa che impressiona di Nouadhibou, oltre alla bidonville che si trova al di là del reticolato che rappresenta la frontiera, è il traffico caotico e senza regole. La maggior parte delle auto sono Mercedes 190 in condizioni più o meno fatiscenti che avanzano, svoltano, attraversano e si fermano senza apparentemente nessuna logica: in principio la cosa terrorizza ma poi capiamo come procedere seguendo il flusso di questo marasma, fino a raggiungere l’hotel.

 

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un “selfie” sulla costa poco dopo la ripartenza da Dakhla

 

2 maggio

Lasciata una Nouadhibou ancora dormiente, davvero irriconoscibile senza il traffico caotico del pomeriggio precedente, percorriamo un lungo tratto di statale ancora senza attraversare città o villaggi. Troviamo un benzinaio soltanto all’inizio della pista prevista per raggiungere la spiaggia ma le pompe presenti hanno solo gasolio: concordiamo di farci portare 20 litri di benzina da dividere per le nostre 3 moto e la paghiamo ad un prezzo ancora più caro del normale, che già è doppio rispetto al West Sahara.

Decidiamo di non affrontare la pista completa di oltre 80 km sia per la lunghezza che per il fatto che i locali ce la sconsigliano, sia il gestore del benzinaio (a gesti) che un padre di famiglia che vive non lontano e sembra essere l’unico nei dintorni a parlare un poco di francese. Optiamo per la “strada” che un’ottantina di km più avanti parte dalla statale per raggiungere Iwik, tracciata sul Garmin come strada (nemmeno sterrata in apparenza) che quindi immaginiamo sia molto semplice. Se ciò è vero per la prima parte, che su consiglio del gestore del parco del Banc d’Arguin prendiamo da un villaggio pochi km prima della stazione di servizio Bouamatou, risulta invece ricca di banchi sabbiosi nella seconda parte una volta avvicinati al mare.

Raggiunta la traccia prevista che corre parallela alla costa, solo qualche centinaio di metri più internamente, crediamo di aver trovato la “pace” ma ci imbattiamo nuovamente in tratti sabbiosi e pure in alcuni banchi di fondo fangoso poco riconoscibili a vista d’occhio, salvo per il colore leggermente più scuro. Gli ultimi chilometri sono invece molto compatti sulle tracce dei veicoli mentre ben più soffici e infidi al di fuori delle stesse, dove però è piacevole, con la meta ormai a vista, fare qualche “traverso” da seconda/terza anche per scaricare la tensione e la fatica.

Uno scheletro di balena ci accoglie accanto al cartello Iwik, e solo il pensiero di non poter fare una doccia ci fa desistere dal tuffarci nell’acqua cristallina di questa laguna.

La sera dormiamo infatti in un campo tendato, dopo una abbondante e squisita cena a base di pesce e verdure organizzata dal capo villaggio.

 

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un rifornimento

 

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un rifornimento

 

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Iwik

 

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l’arrivo a Iwik

 

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Iwik, i mezzi vicino al campo tendato

 

 

3 maggio

partiamo da Iwik insieme alla “carovana” del gruppo e la pista procede piacevole per diversi chilometri salvo brevi banchi di sabbia piuttosto saltuari. Quando tutto sembra semplice dopo il villaggio di Teichott ci ritroviamo ad affrontare una sorta di scollinamento di sabbia davvero soffice dove anche i KTM 690 di Mauro e Sergio affondano non poco. Percorrere un paio di chilometri ci porta via tra tutto quasi un’ora di tempo.

Procediamo su pista fino a Nouamghar dove dovremmo imboccare la spiaggia, oltre che per l’orario del tutto sbagliato in piena risalita della marea un guardia parco ci sconsiglia questa soluzione anche perché a detta sua la spiaggia non è più percorribile in sicurezza per via del fondo molle anche in bassa marea. Torniamo quindi mediante una “imprevista” strada asfaltata non presente ne sui navigatori ne su Google alla statale che ci porta a Nouachott ormai alle 17. A questo punto l’idea di passare due frontiere africane di notte e raggiungere Saint Louis sembra sempre meno sensata, ma dopo circa un’ora di discussione si riparte comunque.

Veniamo fermati ad ogni posto di blocco, ogni volta con 5-10 minuti di attesa ed il sole tramonta che abbiamo appena superato la città: la frontiera dista ancora circa 200km che dovremo affrontare di notte, la cosa meno prudente da fare in Africa ed in particolare in un paese a rischio come la Mauritania.

L’asfalto della N2 oltretutto è sempre più precario man mano che andiamo avanti, quindi oltre che a pedoni, animali, carretti, auto a luci spente, auto con gli abbaglianti, camion che ingombrano tutta la carreggiata e altre amenità dobbiamo anche fare grande attenzione alle numerose e profonde buche di variegate forme e grandezza che mettono a rischio cerchi, pneumatici ed equilibrio. La strada che porta a Diama è invece incredibilmente asfaltata di recente ma ciò vale solo per il primo tratto fino al villaggio di Keur Macene dove inizia una piacevolissima tòle ondulè che si inoltra nel parco di Diawling, dove troviamo la prima sbarra chiusa della serata: due gendarmi dal fare poco amichevole ci chiedono ovviamente i soldi per l’ingresso nel parco e non abbiamo molta scelta se non quella di pagare (circa sei euro per ogni mezzo).

Dopo una dozzina di chilometri arriviamo al posto di frontiera di Diama che ovviamente è chiuso sia dal lato mauritano che senegalese (chi lo avrebbe mai detto eh?). Dei gendarmi svegliati dal nostro trambusto ci indicano gentilmente che esiste un alloggio all’interno del parco quando eravamo già convinti di dover montare le tende in dogana.  Torniamo indietro di qualche chilometro ed un guardia parco ci attende, noto che è lo stesso che era presente anche al “pagamento del biglietto” ma a quel momento non ci aveva detto nulla.

In questo delirio notturno mi rendo anche conto che il secondo supporto del plexiglass ha ceduto e quindi ora il tutto è mantenuto insieme dalla forza di gravità e dalle vitine del paravento, la cosa non mi turba più di tanto e mi godo l’inaspettato letto con una bella dormita per far sbollire l’incazzatura.

 

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la spiaggia vicino al villaggio di Teichott

 

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Roberto “Ronda” e Patrizia vicino al fuoristrada di Gianni

 

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un momento difficile nella sabbia

 

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migliaia di granchi sul Banc d’Arguin

 

 

4 maggio

Giornata tutto sommato positiva considerando che la nostra “avanguardia” di 3 moto entra in Senegal con una mezz’ora scarsa di operazioni doganali mentre il resto del gruppo (lo scopriremo solo più tardi) resta bloccato per ore e ore, a causa della mancanza dei carnet de passage per le auto più vecchie di 8 anni.

Il Senegal ci fa subito un’ottima impressione, sia per i paesaggi che sembrano aver cambiato colore dal giallo al verde per merito di una vegetazione generalmente più rigogliosa che per la popolazione che sembra essere più sorridente ed in qualche modo più felice, nonostante l’evidente stato di povertà.

Superiamo Saint Louis ed il suo traffico caotico e disordinato, con l’idea di mangiare qualcosa per strada non appena si presentasse l’occasione, per testare la cucina locale. Troviamo una sorta di “fast food” sulla strada che scopriamo essere gestito da un giovane senegalese che parla benissimo l’italiano: ci fa preparare dell’ottimo riso con pollo e cipolle stufate che mangiamo con soddisfazione. La carovana con gli altri mezzi non ci supera nel frattempo, non sapendo nulla delle difficoltà in dogana ci chiediamo se sia passata dalla pista sul mare.

Risaliamo in moto e proviamo a raggiungere la spiaggia a M’boro, dove ci godiamo lo spettacolo dei pescatori che mettono a mare le loro piroghe colorate approfittando dell’alta marea: realizziamo che quest’ultima ci impedisce di passare dalla spiaggia come sarebbe previsto e riprendiamo l’asfalto su una strada più interna e meno trafficata. Raggiungiamo poi il mitico Lac Rose ormai al tramonto, attraverso una breve sterrata a tratti sabbiosa: a fine traccia non troviamo nessuno.

Proviamo a chiamare gli organizzatori e scopriamo il “misfatto” della dogana, nessuno sembra però sapere l’indirizzo della scuola/convento dove dovremmo passare la notte a Dakar: dopo oltre due ore di attesa e dato che buio e umidità hanno ormai preso il sopravvento decidiamo di fermarci in una struttura sul posto, dove ceniamo.

Troviamo lo spagnolo su KTM che ci saluta con grandi sorrisi: questa volta ci racconta che alla frontiera è andata peggio a lui. La frontiera di Rosso è piuttosto malfamata ma lui ha deciso di affrontarla lo stesso, trovandosi in una brutta situazione tra diversi “faccendieri” piuttosto aggressivi nel chiedergli soldi ed i doganieri consenzienti che non facevano nulla per aiutarlo.

 

 

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Diawling national park, vicino alla frontiera di Diama

 

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per strada a Saint Louis

 

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il nostro pranzo vicino al villaggio di Rao

 

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Lungo la N2

 

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Varo di una piroga da pesca a M’boro Plage

 

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Piroghe da pesca a M’boro Plage

 

5 maggio

Raggiungiamo la scuola/convento in centro a Dakar dopo altre foto di rito al Lac Rose che però non sembra avere il suo colore caratteristico, ci dicono che non è il periodo buono anche se avevamo letto il contrario.

Portiamo le moto al terminal container dopo un breve lavaggio per rimuovere almeno il fango più ostinato e parte della polvere, il rizzaggio è piuttosto semplice anche se la temperatura all’interno della scatola metallica in pieno sole non è delle più piacevoli. Il doganiere sigilla il contenitore, speriamo bene…

Al pomeriggio gironzoliamo per la città e pranziamo a tarda ora nello yacht club della città ad una cifra esorbitante (ben 15€ a testa circa) ma gustando dell’ottimo pesce. La sera scopriremo che le jeep hanno avuto nuovamente problemi: un inghippo sulla spedizione e ancora la mancanza del carnet a complicare le cose, tutto da rifare il giorno successivo.

 

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il Lac Rose

 

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il Lac Rose

 

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le moto in posa al mitico Lac Rose

 

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in posa al mitico Lac Rose

 

6 maggio

Altra passeggiata per Dakar e dopo pranzo rientriamo per unirci al gruppo che finalmente è riuscito a chiudere la faccenda spedizione anche per le jeep ed andiamo in aeroporto: l’avventura è davvero finita e già sentiamo un certo mal d’Africa…

 

 

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i caratteristici bus di Dakar

 

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per le strade di Dakar

 

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sotto all’obelisco di Dakar

 

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in aeroporto

 

 

ed infine ecco il video dell’avventura: