Le moto sono la nostra più grande passione, ma questo penso lo si sia intuito e le corse in moto di conseguenza seguono a ruota. Ma non le corse classiche in circuiti ultra sicuri con piloti “da copertina” pieni di sponsor e motor home. A noi piacciono le corse di “serie B”. Quelle che spesso i media e anche gli addetti ai lavori non tengono nemmeno in considerazione.
Per noi, e per altri migliaia di appassionati, queste sono l’essenza delle corse in moto. Le road racing nell’ Irlanda del Nord e le gare di Endurance sono un mondo folle e affascinante, fatto per lo più da piloti che sono tali per la durata di un week end o poco più. Appassionati prima che professionisti delle due ruote. Gente comune che per la maggior parte dell’ anno gravita attorno al pianeta “moto”: meccanici, preparatori, gommisti ecc, che con mille sacrifici decidono ogni tanto di buttarsi tra i terrapieni e i pali della luce sull’ isola di Man o tra i cordoli di circuiti come Suzuka, Magny Cours e Le Mans.
Giusto per dire “io c’ero”, “io ero lì con quelli veri” e come in questo caso, dopo 24 lunghissime ore, poter dire “io ho concluso la 24 ore di Le Mans!”
Dopo la road race di Scarborough che vi abbiamo raccontato in Keep left…and full gas! questo é il breve racconto di una gara anacronistica ed affascinante, alla quale non siamo giunti in moto (purtroppo) per mancanza di tempo, ma che abbiamo vissuto intensamente tra le moto, che non si sono fermate per 24 ore tirate.
24 come le ore che compongono un giorno, dalle 15 del sabato alle 15 della domenica no stop, giorno e notte, sole o pioggia. Questo è il racconto della più classica delle gare di Endurance, la 24H di Le Mans.
Come ogni anno, dal 1978, il circuito Bugatti di Le Mans ha ospitato l’ ultima gara del Mondiale Endurance.
I giochi erano ancora aperti dopo le prime tre tappe e a giocarsi il titolo iridato c’erano Kawasaki, Suzuki e Yamaha pronte a darsi battaglia…insieme ad un’ orda di altri scatenati bikers.
La spettacolare partenza, che prevede l’attraversamento del rettilineo dei box di corsa verso la propria moto, fa già capire che si tratta di una gara fuori dagli schemi.
Tre piloti per ogni team, 30 minuti ciascuno alla guida, cambi gomme, rifornimenti, scivolate tutto mentre il caldo del pomeriggio pian pian rinfresca con il calare del sole fino a che i commissari di circuito espongono il pannello “lights on”.
Da questo momento in poi si entra nella parte più spettacolare (per il pubblico) e più dura per piloti e team. Mano a mano che scende la notte gli scoppi in rilascio degli scarichi si trasformano in piccole palle di fuoco azzurre ben visibili, che fanno il paio coi dischi incandescenti nelle staccate più violente. Una danza tra le curve che rapisce gli spettatori fino a tarda notte.
Le luci gialle delle moto che illuminano quel poco che basta il circuito sono piccoli lampi che si inseguono senza sosta fino alle prime luci del mattino, quando l’alba restituisce quel poco di energie per resistere le ultime ore fino alla bandiera a scacchi.
Alle 15 della domenica la Kawasaki numero 11 taglia per prima il traguardo mentre i 200.000 tifosi che gremiscono le tribune esplodono in un applauso per i piloti-eroi riusciti a resistito alla massacrante maratona.
I freddi numeri riportano circa 3.400 km in 24 ore esatte chilometro più chilometro meno: vale a dire più di 1100 km nelle 8 ore totali che spettano ad ogni pilota.
Ma questi sono solo numeri, niente può raccontare la fatica, la sofferenza e l’esplosione di gioia di questa straordinaria gara contro il tempo.
Uno straordinario video: